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Vuoi dirmi dove sei?

martedì, 4 Gennaio 2011 by

“Vuoi dirmi dove sei?”  La voce di una ragazza descriveva quella che doveva essere stata una pessima giornata. Simone fece finta per pochi attimi di essere diventato sordo pur di non rispondere alla domanda. Sembrava retorica, detta solo per parlare. Invece Sara dall’altro lato del telefono, aspettava una risposta.

Era un pomeriggio qualsiasi, faceva freddo. Simone aveva voglia di fare un giro fuori casa per vedere quel via vai di persone che popolavano la sua città. Date le condizioni metereologiche, decise di avventurarsi in un colosso, denominato dalla gente comune “ Centro Commerciale”.  Un grande mostro che ha occhi come finestre a specchio e bocche come porte automatiche che ingoiano di volta in volta i malcapitati. Non c’è niente di meno romantico di un centro commerciale. I suoi negozi, allestiti a dovere, ti invitano ad entrare. Si compiacciono della merce esposta. Vendono velocità , il silenzio è in saldo. Simone entrò nel primo negozio sulla destra, una profumeria. Una commessa si avvicinò, lui la respinse.  Rimase ad assaporare mentalmente quei profumi di donna che arrivavano dagli scaffali e si perdevano nell’aria. Immaginò Sara, nuda, circondata da queste note olfattive. Quando aprì gli occhi, lo sguardo finì su una targhetta. “55€” –lesse e poi commentò a bassa voce “ Costa parecchio un sogno ad occhi aperti”. Uscì turbato e si diresse verso la scala mobile che portava al secondo piano, superando sulla sinistra una famigliola che procedeva a passo di lumaca. Mentre aspettava che quella grossa lingua meccanica lo portasse in cima, estrasse il suo cellulare, ultimo modello. Non c’erano messaggi né chiamate. Alzò lo sguardo e notò come la maggior parte di quelle persone intorno a lui erano indaffarate con quel mezzo elettronico. I ragazzini lo tenevano ad altezza ombelico per rispondere agli sms. Le signore di una certa età sembravano impegnate a premere tasti su una macchina da scrivere d’altri tempi. Poi c’erano gli uomini come lui. Occhi languidi da pesci lessi, sguardi persi nel vuoto o sul fondoschiena di qualche signorina e cellulare incollato all’orecchio. Qualcosa vibrò nella tasca della sua giacca. Simone allungò la mano e prese l’oggetto infernale. Sul display lampeggiava <Sara>. “Ciao amore”. Lui, freddo come un telegramma. “ Allora? Ti cerco da almeno due ore. Vuoi dirmi dove sei finito?”. Lei, scocciata e paranoica come una moglie che non si fida. “Ne parliamo più tardi”. La risposta ermetica di Simone, occhio languido e sguardo perso sul fondoschiena di una signorina.

Il peso

lunedì, 27 Dicembre 2010 by

Come ultimo scritto dell’anno 2010, vorrei lasciare un racconto scritto mesi fa per un blog e pubblicato. Con l’augurio che il nuovo anno che sta per iniziare vi conduca a ciò che state cercando, vi liberi dalle catene del passato per lasciarvi liberi di essere voi stessi e  vi renda felici.( “Era quello che volevi?”) BUON 2011!

Schiacciata e rannicchiata sotto il peso del suo corpo, stupidamente consolata dal respiro e dai suoi capelli, non sentiva il dolore del suo peso nelle gambe e sulla schiena ma segretamente già stava odiando il momento in cui lui si sarebbe spostato e, per evitarlo , lei gli avrebbe volentieri sussurrato “ Rimani, così”.Sembravano un dipinto di straordinaria attualità, due solitudini che si erano incrociate in un posto qualche secolo prima e che si stavano ritrovando dopo essersi perse. Un pittore l’avrebbe descritta così, quella scena impietosa.  Una scena comune, senza dignità, pudore e un minimo di sentimento. Il cuore di lei però batteva forte nel sentire che quell’uomo non le pesava più di quanto le pesassero le parole che martellavano nella sua testa. Sorrideva. Cosa c’era da sorridere, in tutta quella pena?Scontava  la sua dannazione stando lì con lui per imparare la lezione.  Quella dannazione lei la scontava standosene lì, rannicchiata, in un angolo, a frugare nelle frasi da repertorio quella da dire per non fargli capire di esserci rimasta quasi male.  Ognuno sconta la sua condanna e rimane a compiacersi della propria sofferenza. Lei era destinata ad essere schiava dei suoi stessi sentimenti, della sua capacità di capirli senza però riuscire mai a spiegarli. Condannata a capire e per questo, a girare intorno a vuoto in un folle girotondo che seguendo una sua logica perversa la riportava sempre nello stesso luogo. Lì. Quando lo capì, un pomeriggio di giorni prima, ricominciò a mangiarsi le unghie, il segno inequivocabile del nervosismo che imperava nella sua anima. Scese a compromesso quella sera e per molte altre continuò a farlo, sentendosi sempre più in alto. Loro due insieme quella notte potevano essere un’opera d’arte simile al  Bacio dipinto da Klimt, dal sapore amaramente volgare.Proprio in quel momento, mentre lui scivolava lentamente via, si sentì davvero e rimase ad ascoltarsi. La lunga notte invernale che trascorreva contorta tra quel sudore provocato da un nervosismo instabile e le dita di due  sconosciuti che finivano per sfiorarsi ma non aversi mai, in realtà non aveva molto senso. Se avesse avuto tutta quell’accortezza nel gestire i movimenti anche nel momento in cui lui avrebbe deciso di andarsene senza darle possibilità di appellarsi neanche al più nobile dei sentimenti, è probabile che non sarebbe arrivata al punto di doversi chiedere se, in effetti ,quelle mani fossero reali e la stessero sfiorando davvero piuttosto che convincersi che era solo una parentesi di materialità indotta dalla sua coscienza.

Non seppe mai saperlo davvero e forse fu meglio così.

Non ha senso sentirsi così vuoti quando è evidente che siamo vuoti a perdere, tutti.

martedì, 23 Novembre 2010 by

(questa volta, io.)

Così anche oggi avevo un motivo per eclissarmi e sparire sotto il peso del piumone blu senza provocare il minimo fastidio nè rumore. Di nuovo. Si tratta di lasciarsi andare e mirare verso il centro del pensiero,dove nessuno può arrivare facilmente se non attraversando quello che è il mare impetuoso del tuo silenzio. Ci sono giorni come questi che sembra tutto più calmo e incrociando la solitudine degli altri abitanti di questo stupido Pianeta Terra, ci rendiamo conto che non ha senso sentirsi così vuoti quando è evidente che siamo vuoti a perdere, tutti. Gli unici vuoti a rendere che rendono davvero non sono contemplati nella vasta gamma delle presenze. Ora.  Ogni tanto il sole passa anche di qui e dalla tapparella dell’unica finestra filtra quella luce fastidiosa di un martedì mattina unico, per fortuna. Ora.  L’innocenza della parole viene violata ad ogni battito e poco importa se scrivi per un uomo,per una donna o per te stesso.

L’egocentrico se ne stava seduto con il suo telefono bene in vista  e le donne lo circondavano riempiendolo  di attenzioni.  A chi importa di te e della tua bravura quando hai mal di testa e non hai nessuno che ti dica una parola sincera, non per ottenere qualcosa? Un Aulin in quei casi è la cosa più importante da dare e da ricevere,tanto evidente quanto banale.Evitando di dire “Prego” con lo sguardo quando l’unica cosa che mi viene da dire è “Grazie”. Invece le parole le diamo  in pasto ai cani, ai critici e agli intenditori che in realtà non hanno capito niente di quello che intendiamo dire. L’egocentrica come l’egocentrico se ne sta seduta in pigiama di fronte alla finestra dalla quale si intravede l’orologio del Comune e l’asse attrezzato. Così le vengono in mente frasi già dette e scritte milioni di volte,più qualche altra piccola perla di saggezza da sussurrare all’orecchio dell’amante in un momento di intimità,per farsi notare. Non è di certo molto diversa dal resto della marmaglia eppure si illude. Puoi rubarmi tutto quello di cui hai bisogno e non restituirmelo mai, sai di rubarmi l’innocenza dei miei scritti e dei pensieri molto prima che io stessa mi decida a imprimerli nelle pagine di un vecchio quaderno a righe che in un cassetto mi aspettano e chiamano. Non chiamano me nè te nè lei nè voi ma chiamano chi ha ancora qualcosa da dire e il coraggio di dirlo senza censure. Nel cuore della notte,stanotte o forse anche ieri notte, ho smesso di temere di violare ogni idea che mi sfiora, nel momento meno opportuno.Ho visto le auto incolonnate e ho immaginato queste stesse parole prendere forma in ognuno di quei soggetti lì fuori alla guida. Con le parole posso crearti e tenerti stretto qui, lontano. Davanti a questo caffè starò attenta a non tradirmi e a non guardarti, per il bisogno di non saperti altrove.

La notte

lunedì, 25 Ottobre 2010 by

Splendida, romantica, violenta

La notte.

 La genesi di tutti i mali e l’epilogo di ogni giorno,

la notte.

La sintesi del dolore e la madre dei cuori dolci,

la notte.

Il peccato e la follia è

la notte.

Sei di una violenza morbida e compatta,

io di una pazienza ostinata e violenta.

All’improvviso ti sento arrivare,

 i passi sicuri li sento.

 Imperturbabile come una roccia,

il  profumo mi confonde.

Mi prendi e

mi hai.

La notte ha il tuo nome.

Lieve

domenica, 10 Ottobre 2010 by

[Mi sento stupida e stranita. Vorrei non avere tutta questa voglia di scrivere,perchè è autolesionismo.Autolesionismo allo stato puro. Scrivo,Leggo,Rileggo, – e mi rendo conto di quanto sia vero quello che dico- quasi quasi Cancello. Oggi è una domenica un po’ fredda,esattamente come vorrei essere io dentro di me,almeno solo per un giorno.Anche stavolta è colpa del mare se mi sento di fare questo esperimento.]

Lieve

il rumore del niente si perde nelle mani di ignari passanti. Io me ne sto in un angolo,a guardare.  La persona al mio fianco mi dice qualcosa, racconta delle sue innumerevoli situazioni ma l’unica cosa che sento è brusìo. Tu,intanto,te ne stai comodo nelle tue convinzioni e ti vedo fin troppo distante, oggettivamente sicuro di te e con un tutto sotto stretto controllo.  Non parlo spesso, non mi espongo, me ne sto volentieri ad ascoltare le parole che vorrei dire ma che non dico,non tanto per mancanza di coraggio quanto più per spirito di autoconservazione. Sì,perchè dire tutto e dirlo adesso significherebbe mettere a rischio me stessa, per troppo. O per troppo poco. Eppure mi sento stupida e stupita- di quanto possa dare senza volere nulla in cambio, solo un effimero senso di appartenenza. Non valgono molto le frasi di chi non sa cosa vuole,di chi cerca a destra e a manca qualcosa di diverso dal solito Amore.  Come se provarlo fosse una colpa, una mancanza, un difetto, una debolezza. A volte mi domando del perchè e per come non riesco a prescindere da questo flusso di aggettivi e verbi- che mi imprigionano. Nel mio schema mentale, non c’è spazio per la superficialità di una relazione statica. Siamo esseri  in continua evoluzione e in continuo mutamento,voglio qualcuno che lo capisca e non giudichi i miei cambiamenti come frutto di momenti passeggeri,destinati ad essere dimenticati e sciolti come nodi.Non vorrei mai più dover sentire quel “Sei cambiata,sei diversa” pronunciato con sulla lingua una punta di veleno. Cosa ci può mai essere di così tanto anomalo ? La normalità  è un concetto troppo relativo per poter essere rinchiuso in un paradigma. Oggi però vorrei essere come ghiaccio-fredda,impassibile.  Uso le mie parole – o loro mi usano? Vorrei saperlo per poter affinare la tecnica e progettare un’efficace difesa.

La lama affilata delle mie emozioni ho l’impressione che non nutra nessuno e ferisca solo me.

Treni da perdere

venerdì, 8 Ottobre 2010 by

[Parto in netto svantaggio sulle concorrenti, perchè loro hanno avuto dalla loro parte  il tempo e chissà,anche l’occasione, per viverti più di me. Non mi sento migliore, nè peggiore. Mi sto innamorando,penso.E ora sono c. miei. Nuovi esperimenti,sempre più melanconici,a tratti patetici].

«Mia moglie non ci crede che questo treno va a Lanciano.»
No signora,mi dispiace. Ci creda perchè ci va, ci andrà sempre e ci lascerà senza creatività anche stavolta. Perchè ogni tanto mi ricordo di salire su treni che dovrei lasciar stare e sarebbe meglio così.Per tutti. Che gusto ci sarebbe poi però nel ritrovarsi svegliati nel cuore della notte da un sordo rumore nel petto?Noi abbiamo il problem solving incorporato solo per i problemi che non ci interessano o che riguardano altri, e se  ci troviamo per sbaglio dentro quelli di una certa importanza,cerchiamo di guardare fuori dal finestrino per non ammettere mai a noi stessi che,forse,ci stiamo sbagliando.Che forse ci siamo imbarcati sul treno sbagliato,o su quello giusto ma non vogliamo accettarlo,a volte anche senza volerlo. Ma scendere e ripartire è la cosa più greve da fare. Sistemiamo i bagagli di questi vita senza farli pesare sui passeggeri,il più delle volte inconsapevoli. O consapevoli che fingono di non sapere.(Io invece lo vorrei sapere. Ti vorrei amare sul serio ma non vorrei  sentirlo adesso,così.).Ignoriamo molteplici stazioni e vediamo cambiare le stagioni, così non ci accorgiamo che siamo ancora qui. Seduti.Inermi. Il mare mi scorre davanti, come una linea sottile e fa male.Sono più in basso di quanto non voglia dare a vedere, queste onde non aiutano e non respiro. Si può inzuppare tutto quanto quando sei sotto la pioggia, con il desiderio bruciante di lasciarti andare . Si bagnano i capelli, le vesti, il naso e le guance. Si bagnano le mani,le spalle,i piedi e i bagagli. Ma l’anima no. Ed è l’unica cosa che dovrebbe,perchè non si farebbe poi così tanto male.Si rinfrescherebbe, perchè a volte piange,si asciuga le lacrime e riparte ma non fa vedere niente. Tutto sembra così in corsa, e le case non sono nulla. Ci sono treni che sarebbe meglio perdere per non sentirsi così affaticati e senza difese,assolutamente pronti a ricevere il colpo nel punto più debole,stupidamente ben esposto. Colpisci. Non te lo so dire, ma tu per me aspetti qualcuna.
Me l’ha detto un pazzo,oggi,per strada « Hai l’aria di…aspettare qualcuno».

L’abitudine

sabato, 2 Ottobre 2010 by

[Scrivo un po’ tra il disordine che c’è  nelle mie cose sparse ovunque. La mia casa in campagna è accogliente,come una madre tenera e affettuosa. La mia mentalità mi tiene inchiodata alle mie radici e mi spinge allo stesso tempo oltre. Proverò a fare un esperimento,stasera.]

Pesava ogni singolo passo su quella terra instabile.Il campanile scandiva le ore e sembrava tutto fermo. Sul ponte non c’era nessuno, il fiume era lento.Acqua dolce resa ancora più dolce dalla tranquillità di una notte come quella,dove tutto era concesso. La giornata era stata pesante, le lunghe ore di lavoro tutte uguali e monotone le avevano messo addosso una strana sensazione di impotenza,come se la vita fosse tutto lì. «E se fosse tutto qui? E se il nostro scopo è vivere così?» Allontanava ognuno di questi macabri presentimenti con maestrìa,distraendosi di tanto in tanto fissando pile di fogli sulla scrivania. Dovevano essere scritti e compilati in ogni parte, veloce,veloce,scrivi,consegna. Abitudine pura e nessuna originalità. Solo giorni copia-incolla. I colleghi di lavoro erano anche un po’ stronzi,di quelli che sai,ti squadrano per bene,cercando di appigliarsi ad ogni tuo difetto per colmare il loro senso di nullità. E non sanno neanche pensare a sè. Nella pausa se ne stava seduta su una poltrona, con un libro di narrativa in mano, qualcosa di un autore poco conosciuto ma che a lei piaceva molto. Era l’unico momento di verità in tutto quel trambusto. Poi nell’ora di punta,riprendeva la sua auto e se ne andava verso casa. «Cosa mangio per cena,cosa guardo in tv? Forse devo stirare. Sì. Abitudine odiosa» Accendeva la radio e inseriva un cd. Riflessione.

Ludovico Einaudi – In un\’altra vita

Ma quella sera voleva uscire e senza neanche toccare cibo,scese in strada. Si avviò sul viale principale,uno di quelli belli che di giorno sono pieni di negozi trafficati. Di notte sono spettrali, i manichini sembrano veri  ( o è chi ci circonda a sembrare finto?) . «Tutti uguali, tutti in serie.Tutti in fila.Tutti strani. Tutti automi». Intanto tra quei visi sconosciuti, belli ma appassiti,ogni immagine lussuriosa prendeva vita. Tra il lampione e il marciapiede, giovani coperti da pelli variopinte roteavano senza sosta. Lei tentava invano di catturarli,allungando le sue esili braccia come a volersi inserire nella folle danza. Loro la respingevano e sghignazzavano «Non puoi.». Allora andate e non tormentatela. Ma lei danzava lo stesso e girava,girava su se stessa, la testa le girava ma non importava. Poi si ritrovava seduta, sul ciglio della strada, da sola. Sveglia. Audace. «Andate via».

Ludovico Einaudi- Andare

Chimera- lettura di Silvio Lorentini

mercoledì, 29 Settembre 2010 by

Chimera – Letto da Silvio Lorentini.

Ripropongo il mio brano, letto e interpretato da un mio amico. Spero vi emozioni quanto ha emozionato me.

Chimera

sabato, 25 Settembre 2010 by

Sei nervoso per dare un senso alla giornata, ti appoggi un istante su di una sedia e rifletti.
Parlare per metafore è il modo migliore e peggiore per sentirsi sempre meno vivi. Lo fai con perizia scientifica,non lasci niente al caso. Passeggiando lungo la strada che porta da lì a  me, ripeti parole come gigli e farfalle,le lasci libere e non ci speri. Sono un’ape e ti ronzo intorno, tu mi scacci in malo modo e non mi vuoi vedere. Se ti pungessi ti farei male per poi pentirmene. Ora sono una coccinella. Mi tieni in palmo di mano e mi osservi. Cerchi di capire se potrò portarti fortuna o per te sarò solo un tormento. Potrò volaresolo  nel momento in cui mi lascerai andare e non ti volterai mai più indietro a guardare se sono ancora qui. Ora sono gatta e mi muovo sensuale, con un’aria importante, mi terrai in braccio ancora un po’ e poi dormiremo insieme mentre io farò le fusa. Ora sono serpente e mi nascondo nel tuo giardino, ti vedo uscire e tu non vedi me però ti piacerebbe essere morso,perchè il mio veleno ti dà quello che cerchi e che non hai. Sotto la pietra resto immobile ad aspettare il tuo passaggio. Ora sono leonessa e fiera mi guardo intorno, mi lecco le ferite e non ho paura di domani ,che il sole sorgerà lo stesso con o senza i tuoi occhi puntati sul mio corpo. Ora sono mantide e tu mi guardi affascinato. Ora sono Venere e posso far di te quello che mi va. Docile,perfida,baciami.Insegui il mio sguardo sul ciglio del mondo e sanguini voglia di perderti in me, reclinando la testa all’indietro mentre pensi che ora sia solo per te. Santo sudore e mani infuocate, sono la spia di un dolore più acceso che non vuole placarsi e sputa fuori lo strazio e la pena di non sapere di chi sei,dove sei,se mi vuoi,come vuoi,come vuoi,come vuoi.Mangi le ore e ti copri di sbagli,poi ti penti e non mi cerchi.Io saprei dirti che il giorno più bello è il più triste ed è opaco.Da queste ciglia pioveranno gocce di luce e i miei capelli sapranno di sale.E tu li potrai annusare e dormirci su  tutte le notti che vorrai,anche in quelle notti che non sono proprio tali ma somigliano a giorni che non vogliono saperne di finire.Poi finiremo a sentirci persi o semplicemente,ci perderemo.

Con quella fretta di farsi del male

martedì, 31 Agosto 2010 by

Sorrideva tra sè e sè e non lo guardava,restava immobile nella sua convinzione che sarebbe bastato uno sguardo per impazzire. Così mentre lui prendeva il caffè e provava a non sperarci neanche un po’ in una sua confessione,era lì con l’orecchio teso ” Dovesse mai succedere che finalmente parli”. Intanto in bagno si consumava una tragedia dell’abitudine : lei non riusciva più a trovare tra tutte quelle cose sul ripiano, il rimmel.  Come similitudine di una falsità e di un’ipocrisia,il  ricoprirsi di cosmetici per alienarsi da sè stessi almeno per un po’  è un rituale di tutte le mattine. Così si spera di cancellare oltre alle imperfezioni della pelle anche quelle dell’anima e del cuore,sperando che nessuno le noti. Eppure quelle,ce le portiamo in spalla come macigni dal primo giorno in cui prendiamo coscienza di quello che amiamo e che ci fa soffrire. Solo un sorriso,ancora più falso del rimmel, ci può aiutare a mascherare una giornata triste.Quel giorno era nato così,con lo sguardo della tristezza nei suoi occhi ed avere lui con lei  nel letto non calmava quella pena. In effetti lui era lì,fisicamente era lì. Ma non era come se lo ricordava. O come lo immaginava. O come lo aveva voluto.  Pensava ad un cielo diverso e ad emozioni inebrianti ” Se solo riuscissi a mandarlo via” . Uscì sul balcone, nella città era una normalissima giornata di frenesia. Accese una sigaretta e immaginò nella sua testa ,inspirando, la parola “Libertà”. Lui restava seduto in cucina,con la tazzina di caffè in mano. Avvicinò il naso per bere e immaginò nella sua testa,inspirando, la parola ” Spiegami”.  Poi mangiò una brioche e si diresse nella stanza da letto per vestirsi. Sulla sedia erano disposti alla rinfusa tutta una serie vestiti, dismessi alla svelta e lasciati lì ad osservare i momenti d’intimità di questa coppia consumata dalla fretta. La fretta di farsi del male, di amarsi tutto di un fiato e di sentirsi un po’ dèi,adorati e adoranti. Lei rientrò dal balcone e lo vide seduto,di schiena. Si sedette così dal lato opposto del letto. Giocherellava con il bracciale che lui le aveva regalato per il decimo anniversario e non si dava pace.  Cambiava la vita,il tempo e la stagione,cambiavano loro e non lo sapevano. E non sapevano più parlare e ridere di niente. E non sapevano dirselo con onestà. Lei gli avrebbe gridato “Vai via”, lui le avrebbe gridato ” Io non ti capisco”. Si vestirono entrambi con calma, lui si chiuse in bagno per dieci minuti,poi uscì e infilandosi le scarpe, chiese dove fossero  le chiavi dell’auto.  Lei dal bagno rispose distratta,poi finì di truccarsi e indossò del profumo. Sentì dei passi arrivare e lui si affacciò per vederla. Lui sorrise. Lei guardò altrove facendo finta di sistemare i capelli. “Ciao,io vado” e lui chiuse il portone. Così rimane una donna a fissarsi in uno specchio,a pensare che è tardi – ” é ora che io vada”-